lunedì 31 gennaio 2011

Non solo regole


"Usa il non metodo come metodo avendo l'assenza di limiti come limite."
(Bruce Lee)

I bambini e le loro ragioni

"I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta."

"Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano!"

(Antoine de Saint-Exupéry)

Alla riscoperta dei giochi tradizionali

Nel corso del Progetto Primo Salto cercheremo di far riscoprire ai bambini il gusto di giochi semplici, il piacere di giocare in gruppo insieme ad altri bambini, la gioia del muoversi e divertirsi.

Palla avvelenata ,bandierina, campana, chiapparello, nascondino…..i bambini che faranno parte del progetto avranno il compito di esportare fuori dalle quattro mura della palestra la gioia di questi giochi, portandoli negli spazi aperti dei parchi, coinvolgendo altri bambini.



Da www.giochitradizionali.it: “La maggior parte dei giochi di ieri si svolgevano all’aria aperta, erano passatempi semplici, salutari e più adatti alla vita di allora. Le case erano molto piccole e poco comode, mentre di spazi liberi se ne trovavano in abbondanza, la piazza diveniva un ottimo laboratorio. I momenti di tempo libero da dedicare al gioco erano veramente pochi ma, quando questo accadeva, giocavano tutti, grandi e piccini, e non mancavano gli spettatori che assistevano alle prove. I giochi erano basati sulla destrezza, sull’agilità, sulla velocità, sulla coordinazione e sulla forza fisica. I giochi, sono sempre figli del tempo e si adattano al contesto sociale nel quale si svolgono. Ieri non esisteva nessun disturbo dall’esterno, niente TV, niente computer, scarsissima produzione industriale di giocattoli con, in compenso, una solida presenza di rapporti interpersonali e di socializzazione. Era considerato importante lo stare insieme, anche i momenti di lavoro si trasformavano in occasione di socializzazione. La persona allora era al centro della società e il gioco era di tipo collettivo-creativo e ad alto contenuto sociale. I bambini di oggi non sanno più cosa voglia dire avere un cielo azzurro sulla testa, schiacciati dalla loro passività di soggetti cresciuti davanti alla TV, con gli occhi abituati ad incamerare sempre più immagini e a produrre sempre meno parole. Ieri il bambino non aveva bisogno dell’adulto, della guida, erano indipendenti ed autonomi nel gioco prima e nella vita, poi; oggi non sono abituati a scegliere, c’è sempre qualcuno che provvede ad indirizzarli verso qualcosa e quando non c’è l’adulto c’è bisogno del computer o di altro. L’oggetto giocattolo è il nulla e dietro di esso si aggrovigliano il vuoto delle relazioni umane e l’assenza della fantasia, della creatività e dell’inventiva; in questo modo il gioco, inteso come tempo della piena libertà infantile, viene spogliato di spazi ampi e differenziati e mutilato dei propri segni educativi quali il movimento, la comunicazione, la fantasia, l’avventura, la costruzione, la socializzazione. Il bambino, spesso, non sceglie in base alle sue esigenze ma viene trascinato in forme di divertimento imposte, create artificialmente, prefabbricate. Bambini che stanno insieme fisicamente ma che non socializzano affatto, tra loro non si creano rapporti interpersonali ma soltanto muri di isolamento e solitudine”.


venerdì 28 gennaio 2011

Michael è sempre Michael!

"I bambini mostrano nei loro sorrisi il divino che c'è in ognuno. Questa semplice benedizione brilla dritta dal loro cuore e chiede solo di essere vissuta."

(Michael Jackson)

I nostri 5 cardini

Ripetiamo quali sono i 5 punti centrali del Progetto Primo Salto:

1 - Polivalenza – multilateralità - polisportività 

Principio della polivalenza: Le attività motorie devono avere carattere orientato allo sviluppo di capacità ed abilità la cui trasferibilità, valenza e validità sia molteplice. 
Principio della multilateralità: fa riferimento agli aspetti didattici, cioè ai contenuti, ai mezzi e alla loro organizzazione (giochi, percorsi, circuiti, prove multiple).
Principio della polisportività: fa riferimento alla pratica di molteplici e svariate discipline sportive o di azioni di gioco tratte dalle stesse. Un programma di attività fisica «unilaterale e standardizzato» ha come obbiettivo principale quello di allenare e sviluppare la qualità fisica maggiormente coinvolta in quella determinata disciplina sportiva. A tal fine vengono adottati programmi di allenamento che utilizzano pochi e ripetitivi gesti, col rischio quasi inevitabile, di rallentare o ancor peggio, di bloccare, i processi di apprendimento motorio del bambino.
Al contrario, un allenamento «multilaterale» favorisce lo sviluppo parallelo e contemporaneo delle qualità psicofisiche allenabili nel ragazzo in quanto utilizza esercitazioni varie, alternate e polivalenti.

2 - Dimostrare è meglio che spiegare

L'allenatore deve saper dimostrare ogni gesto e poi lasciare al bambino la libera interpretazione motoria. Dare tanto tempo al bambino per poter familiarizzare con la nuova abilità motoria, con il fondamentale, quindi tante proposte: "bambino + palla" perché deve prendere confidenza con il gesto da apprendere. A 5 anni il bambino è sempre in movimento, alla ricerca di nuove esperienze. È possiede una grande capacità di riprodurre globalmente tutto ciò che vede. E' un essere di azione e non verbale anche se è in grado di eseguire un'azione motoria in seguito ad una semplice consegna verbale ma senza pensare ai dettagli di esecuzione. E’ importante ricordare che il bambino è guidato da un grande desiderio di emulazione e di ricerca di gratificazione da parte dell' adulto.

3 - Attenzione ed interesse

L'attenzione è labile, l'interesse è momentaneo e incostante; l'apprendimento avviene per prove ed errori e tramite la vista (80-85%) e non attraverso spiegazioni verbali. 
Proporremo quindi giochi di breve durata (5'-6') con spiegazioni di facile comprensione, veloci e con regole semplici; proposte globali, tramite giochi. La correzione avverrà attraverso la variazione del compito motorio e con frasi positive (per esempio se un bambino non riesce a segnare, bisogna essere in grado di capirne il perché: troppo lontano ("prova a tirare da questa posizione ", avvicinarlo), mancanza di forza ("prova a tirare con questo pallone", più leggero), tira lateralmente ("prova a tirare davanti al bersaglio" indicare e segnare la giusta posizione, più facile è il tiro frontale). 

4 - Spazio alla fantasia

Lasciare molto spazio alla fantasia, alla libera interpretazione del gesto motorio.
A 5 anni il bambino non riesce a vedere le cose dal punto di vista altrui, per cui nel gioco ognuno gioca per sé senza preoccuparsi delle regole del vicino (tutti alla fine del gioco vincono). 
Durante il gioco il bambino crede di essere al centro dell'universo, non esistono i bisogni degli altri. Percorsi liberi per sviluppare la fantasia. 

5 - L’allenatore e l’atteggiamento attivo/positivo

E’ fondamentale per l’allenatore fare molta assistenza ed avere un atteggiamento "attivo" in palestra (essere sempre attenti ed osservare tutto) e non "passivo" cioè far eseguire la proposta ed attendere lo scorrere del tempo. Dimostrare ogni proposta in modo globale, spiegazione anche durante l'esecuzione sia dell' allenatore che dei bambini.
L’allenatore deve parlare al bambino in modo positivo, durante l'esecuzione della proposta sia per gratificarlo sia per "correggerlo ("bravo, stai palleggiando bene!" "grande lancio, ma adesso prova a ..." "bene, adesso proviamo a...") . 

Riassumendo:

- Metodo della libera scoperta o della scoperta guidata. Per esempio: "muovetevi per il campo come volete ma la palla non deve mai stare ferma ", ogni bambino interpreta personalmente l'ordine verbale, l'istruttore osserva e poi si mette lui stesso a giocare con i bambini in mezzo a loro
- istruttore con presenza attiva, che gratifica e corregge durante l'esecuzione (parlare in positivo)
- istruttore entusiasta, che ami stare con i bambini, che sappia fare il "bambino" e che sappia dimostrare più che parlare

mercoledì 26 gennaio 2011

Rispetto per i giochi dei bambini


"I giochi dei bambini non sono giochi, e bisogna considerarli come le loro azioni più serie."


(Michel De Montaigne) 

Alfabetizzazione motoria di cosa si tratta?


L'alfabetizzazione motoria rappresenta principalmente il grado di sviluppare le capacità individuali di movimento, di muoversi ed inoltre la capacità di "alfabetizzarsi alla vita", cioè di inserirsi socialmente nel mondo, attraverso il movimento e la strutturazione delle capacità motorie. L'alfabetizzazione culturale, quindi, racchiude (e non potrebbe essere altrimenti, vista l'origine dell'uomo, e la sua evoluzione grazie al movimento) al suo interno quella motoria, in un connubio inscindibile e meravigliosamente funzionale.

Il 2 dicembre 2009, è nato il progetto, a firma CONI/MIUR (Ministero Università e Ricerca), "alfabetizzazione motoria nella scuola primaria".

Cosa significa. Semplicemente ci si è accorti che: l'Italia sta diventando un paese di obesi, le spese per la sanità sono alle stelle, a scuola NON si svolgono le lezioni di educazione fisica (tranne che in rari casi non si va più in là della partitella a calcio o pallavolo), nella scuola primaria NON esiste la materia (tranne che in alcune collaborazioni scuola - società sportive, dove si lavora su uno sport, senza indagare se i bambini hanno le basi motorie per poterlo imparare in maniera performante, sicura e produttiva) ed in ultimo, la coscienza sportiva del nostro paese sta andando a farsi benedire...

Ritornando al progetto: il 15 febbraio 2010 è partita una fase pilota che coinvolge solo 1000 plessi scolastici (con quindi 1000 insegnanti e 100 supervisori degli stessi) in tutta Italia.

L’insegnante titolare è stato affiancato “in orario curricolare” da un “consulente esperto” con l’obiettivo di supportare gli alunni nel raggiungimento dei traguardi per lo sviluppo delle competenze motorie, attraverso una proposta guidata di riferimento, elaborata nel rispetto delle Indicazioni ministeriali.
Gli interventi di attività di Alfabetizzazione motoria sono stati proposti in 2 ore settimanali che nel progetto pilota hanno avuto durata di 4 mesi (Febbraio-Maggio 2010) per un totale di 30 ore.

Ulteriore IMPORTANTE novità: gli insegnati DEVONO essere laureati in Scienze Motorie o ISEF.

Il progetto pilota nell’anno scolastico 2009 – 2010 ha fatto registrare risultati molto positivi. L’analisi dei monitoraggi predisposti in collaborazione con l’Università di Verona ha evidenziato sostanziali miglioramenti delle capacità motorie dei bambini coinvolti nel progetto, ed altrettanto buoni sono stati i riscontri da parte delle famiglie e degli operatori scolastici con percentuali di gradimento superiori al 90% degli intervistati.

martedì 25 gennaio 2011

La sfida con se stessi

"La sfida è sempre e solamente con me stesso, conosco bene l'avversario... posso vincere!"

(Carlo Mulatero)

Prima di imparare a vincere si deve imparare ad arrivare ultimi.

Quante volte vi è capitato di vedere vostro figlio piangere perché non accettava di perdere in qualcosa in cui pensava di essere il migliore o non immaginava di poter perdere? 

Molti bambini non riescono ad  accettare la sconfitta al gioco. Ciò accade perché perdere, fa sentire “perdenti”, poco apprezzati dagli altri, in una società dove conta il successo e dove il fallimento viene considerato come qualcosa da evitare. Per questi motivi, molto spesso la perdita va a colpire l’autostima del bambino, creandogli la percezione di essere incapace, di non potercela fare.
Spesso un genitore competitivo, comunicando anche indirettamente al bambino che deve essere il migliore per forza, lo carica di aspettative e di riflesso potrebbe creare in lui difficoltà ad accettare la sconfitta.
In quel caso, il senso di fallimento sarà doppio, perché non solo il bambino si sentirà frustrato per non essere arrivato primo, ma sentirà anche di aver deluso il genitore.
E’ importante insegnare ai propri figli ad accettare la sconfitta, facendo notare che l’accettazione di questa rende più forti; facendo notare che il vero perdente è chi non riesce ad accettare la sconfitta e chi non vuole capire che ha perso. Accettare la sconfitta aiuta a capire dove abbiamo sbagliato per evitare di commettere lo stesso errore ed essere nuovamente sconfitti. Al tempo stesso, è molto utile sottolineare altri aspetti come l'esser stato bravo a rispettare le regole del gioco, farlo riflettere su quanto si sta divertendo durante il gioco, farlo riflettere sulle emozioni di perdita e di vincita e sulla loro durata durante tutto il gioco, differenziare i giochi in cui si vince per fortuna da quelli in cui conta l’impegno.
In ambito familiare è importante evitare di far vincere sempre il proprio figlio, per paura che possa soffrirne, perché nella vita gli capiterà di perdere, come di vincere del resto. Meglio se sperimenta queste emozione in famiglia, che rappresenta un contesto protetto.

Nel corso della nostra attività permettiamo, attraverso il gioco, al bambino di confrontarsi con gli altri ed entrare in contatto con i propri limiti, poichè solo la consapevolezza di questi può portare al superamento degli stessi. Il nostro obiettivo in ogni gioco svolto è di spiegare che non ci si deve sentire frustrati quando si perde o quando non si ottiene il risultato voluto. Prima di imparare a vincere si deve imparare ad arrivare ultimi.

Per cui, la prossima volta che tuo figlio perde una gara, con il sorriso sulle labbra, chiedigli se si è divertito; se ti risponde di sì, sentenzia semplicemente: "bene, come vedi, non è importante vincere!".

lunedì 24 gennaio 2011

La verità di un prato verde.

"Che tu possa incontrare la vittoria e la sconfitta, e trattare queste due bugiarde con lo stesso viso".

(R. Kipling, iscrizione sulla porta d'ingresso al Centre Court di Wimbledon)

Il bambino che corre

Possiamo definire la corsa come l’azione motoria posta alla base di quasi tutte le discipline sportive di movimento.
La corsa, viene considerata come un movimento estremamente naturale, ma fino ai 10 anni circa i bambini evidenziano una carenza proprio nel controllo dell’azione del correre.
Rispetto all’azione del camminare nella corsa è presente la “fase aerea”, infatti nel cammino uno dei due arti inferiori è sempre appoggiato al suolo, nella corsa invece la fase area costituisce il momento in cui il corpo non ha più il contatto con il terreno ed il successivo momento di appoggio necessita di un buon controllo motorio per mantenere l’equilibrio.
Fattori di tipo meccanico e neurologico impediscono che la padronanza del gesto tecnico sia già buono a 5-6 anni, cosa che avviene verso i 10 anni. Prima la corsa è caratterizzata da sbandamenti laterali con i piedi che vanno da tutte le parti prima di ritrovare il contatto con il terreno. Il risultato è un’azione poco corretta, poco armonica in cui anche le spinte dei piedi hanno intensità diverse tra un arto e l’altro, i movimenti sono contratti e molto frequenti anche per la scarsa forza posseduta dai bambini.
Se alla corsa vengono associate salti di ostacolini oppure cambi di direzione fra birilli, le difficoltà vengono a galla, ma è proprio ponendo il bambino di fronte ad una situazione del genere che i difetti diventano più evidenti e quindi il bambino ricorre a tutte le risorse disponibili per evitare o limitare l’errore. In questo modo spontaneamente verranno messi in atto quei piccoli accorgimenti che favoriscono la presa di coscienza di alcune parti del corpo come l’azione equilibratrice delle braccia che dona armonia a tutto il corpo, o come il riconoscere la diversità delle spinte dei piedi a terra.
A tal proposito l’istruttore dovrà invitare i bambini a non correre sempre al massimo ma a fare anche attenzione ad una corretta tecnica di corsa che successivamente sarà fondamentale per andare sempre più veloci.
Occorre sottolineare che l’utilizzo di attrezzi che aumentano le difficoltà dei bambini, sono necessari per dare una influenza positiva sia sulla parte condizionale (velocità, forza) sia sulla parte coordinativa, sia su quella psicologica,
Infatti al miglioramento della velocità corrisponde un miglioramento della coordinazione motoria, della capacità di direzione ed infine tutto questo porta benefici alla sfera psicologica, basti pensare alla sicurezza ed al coraggio che il bambino acquista grazie al superamento di un ostacolo.
Occorre ricordare che tutti gli esercizi che si propongono, toccano sempre sia le capacità condizionali che quelle coordinative, pertanto l’allenamento avrà sempre un effetto globale sulla crescita del bambino.

Michele Moretti - Preparatore Fisico A.S.D. BRACCIANO

domenica 23 gennaio 2011

Le meraviglie della vita

"Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini". 

(Dante Alighieri)

venerdì 21 gennaio 2011

La Forza è con i piccoli!













« Giudichi forse me dalla grandezza? Non dovresti farlo infatti, perché mio alleato è la Forza. Ed un potente alleato essa è: la natura essa crea, ed accresce. Illuminati noi siamo, non questa materia grezza! »

« Provare no! ....
Fare! O non fare! Non c'è provare! »

Maestro Yoda

mercoledì 19 gennaio 2011

Ma come nasce Peter Pan...facciamo un pò di storia

Peter Pan è un personaggio letterario creato dallo scrittore scozzese James Matthew Barrie nel 1902. Si tratta di un bambino che vola e si rifiuta di crescere, trascorrendo un'avventurosa infanzia senza fine sull'Isola che non c'è, come capo di una banda di Bimbi Sperduti, in compagnia di Sirene, Indiani, Fate e Pirati; occasionalmente incontra bambini nel mondo reale, da dove egli stesso proviene, essendo un bambino mai nato, ed avendo trascorso i primi tempi della sua eterna infanzia nei Giardini di Kensigton. Oltre che in due opere letterarie e in un'opera teatrale di Barrie, il personaggio appare in numerose opere di varia natura (film, cartoni animati, fumetti) ispirate agli scritti di Barrie, e nel relativo merchandising. L'autore, alla sua morte, lasciò in eredità i suoi diritti d'autore all'ospedale pediatrico Great Ormond Street Hospital.

Peter Pan apparve per la sua prima volta in The Little White Bird (L'uccellino Bianco), un romanzo scritto nel 1902 da Barrie per un pubblico adulto.
In seguito al largo successo dell'opera posteriore Peter Pan e Wendy, nel 1904, gli editori di Barrie stralciarono i capitoli dal 13 al 18 dell'opera barriana, e la ripubblicarono nel 1906 sotto il titolo Peter Pan nei Giardini di Kensington, con l'aggiunta delle illustrazioni di Arthur Rackham.[1]
L'avventura più nota del personaggio debuttò il 27 dicembre 1904, nello spettacolo teatrale Peter Pan, or The Boy Who Wouldn't Grow Up (Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere).
Questa storia fu poi adattata, ingrandita e trasformata da Barrie in un romanzo pubblicato nel 1911 come Peter e Wendy, poi Peter Pan e Wendy, ed infine semplicemente Peter Pan.
Da allora il personaggio è apparso in moltissime opere in particolare cinematografiche, a partire dal film muto Peter Pan del 1924, al celeberrimo film animato di Walt Disney del 1953, alle varie trasposizioni successive del romanzo (Peter Pan del 2003) e a quelle ad esso ispirato (Hook, film di Steven Spielberg del 1991).
La storia del ragazzo che non voleva crescere e del suo autore (curiosamente anch'egli considerato - per la sua poetica visionaria e disincantata e per la sua capacità di saper giocare anche in età adulta - una persona incapace di crescere) sono state il soggetto del film 2004 Neverland - Un sogno per la vita.

giovedì 13 gennaio 2011

Motivazione ed apprendimento motorio

Non è sempre facile per l'istruttore riuscire a motivare un bambino in vista dell'apprendimento di una determinata capacità motoria. Svogliatezza, ritrosia, stanchezza, apatia, sono tutti segnali di una caduta motivazionale che può essere momentanea o alla lunga determinare un precoce abbandono dell'attività fisica e sportiva. Per utilizzare al meglio o sollecitare la motivazione del proprio allievo, l'educatore sportivo dovrebbe conoscere ed impiegare un ampio repertorio di metodi e di risorse didattiche, ad esempio giochi ed esercizi variati, capaci di stimolare la curiosità e l'esplorazione, attività ludiche e sportive, stimoli legati al cambiamento delle situazioni e dell'ambiente, conferme idonee a promuovere l'autostima, l'appartenenza al gruppo e l'identificazione con l'insegnante. 
* Attivazione psicofisiologica ed emotiva: è ottenibile promuovendo e sottolineando l'importanza che può avere, dal punto di vista del bambino, la realizzazione di una certa prestazione o la conquista di una particolare abilità.
* Direzione dello sforzo verso un particolare fine: è ottenibile se direttamente o indirettamente diventa importante per il bambino. Esprimere se stesso, provare senso di pienezza e di padronanza del proprio corpo, sono bisogni presenti in tutti i ragazzi
*Attenzione selettiva: è utile per l'apprendimento motorio ed è ampiamente influenzata dalla motivazione. Il comportamento motivato ad apprendere è una tipica conquista post-adolescenziale, che richiede un grande impegno da parte dell'educatore sportivo. Ciò è possibile solo se, durante la fase di avviamento allo sport, il bambino interiorizza, gradualmente, i valori espressivi, agonistici, ludici e socio-emotivi dello sport o dell'attività ludica in genere.