giovedì 14 marzo 2013

L'importanza dei giochi di strada nell'età evolutiva

L’avvento del consumismo ha prodotto notevoli cambiamenti, sia a livello socioeconomico che culturale. Non si è trattato soltanto di un cambiamento dei valori e delle norme che regolano il vivere sociale, ma è cambiata la struttura stessa della società e sono stati introdotti nuovi meccanismi che interagiscono nell’assetto degli equilibri culturali nei quali, anche l’elemento ludico occupa un ruolo fondamentale. Il gioco, ed il giocare, quindi, hanno subito gli effetti di questi cambiamenti: la creazione di un mercato economico del gioco e la diffusione della globalizzazione, hanno prodotto effetti tali da mutare perfino il legame originario fra gioco e cultura. “Oggi, purtroppo, non ci diverte più come una volta”. Quante volte abbiamo sentito questa frase; ma è davvero così? Penso che ciò sia vero solo in parte, perché i giochi sono sempre figli del tempo e si adattano alla situazione sociale nella quale si svolgono. Ieri non esisteva nessun disturbo dall’esterno, niente tv, niente computer, oggi nell’epoca dell’informatizzazione, di internet, dei videogiochi, i ragazzi trovano modi di divertirsi alternativi a quelli che un tempo erano i giochi di strada. Era considerato importante lo stare insieme, anche i momenti di lavoro si trasformavano in occasione di socializzazione. La persona allora era al centro della società e il gioco era di tipo collettivo ad alto contenuto sociale. Oggi è sempre più facile trovare un ragazzo attaccato ad un videogame piuttosto che a passeggiare con un amico. Questa mancanza di relazioni umane, di fantasia, di creatività, fa in modo che il gioco, inteso come tempo della piena libertà infantile, sia mutilato dei propri segni educativi quali il movimento, la comunicazione, la fantasia, l’avventura, la costruzione, la socializzazione. Con questo non si intende criminalizzare l’uso del computer e dei videogame, tuttavia è un dato di fatto che i giochi elettronici siano oggettivamente meno socializzanti e creativi rispetto ai giochi fatti all’aria aperta. I bambini, una volta, giocavano molto in strada formando dei gruppi o delle vere e proprie
squadre di quartiere o di rione, imparando a stare insieme divertendosi. Oggi, purtroppo non è più così, bambini ipnotizzati dalla televisione, in media tre ore al giorno, è lo scenario che si  presenterebbe se entrassimo nella maggior parte delle abitazioni.
Ma la colpa è dei bambini? Hanno scelto loro di stare in casa a giocare?
Oggi dove si potrebbero incontrare i bambini per giocare?
E’ sempre più difficile rintracciare in città aree e spazi ludici e questo denota la scarsa attenzione alla cultura del gioco e di conseguenza dimostra la scarsa considerazione che si ha dei bambini.
I bambini hanno bisogno di aree di gioco, dove poter camminare liberamente, dove potersi mettere alla prova, sperimentare i propri limiti, conoscere le proprie possibilità, acquisire fiducia in se stessi.
“Gioca pure, ma non sporcarti, non sudare, non correre, stai fermo”, sono frasi pronunciate e ascoltate chissà quante volte.
Con queste premesse possiamo tranquillamente affermare che i giochi permessi ai bambini sono quelli passivi, sedentari, controllati, mentre i giochi che richiedono movimento, spontaneità, inventiva, si svolgono clandestinamente e in assenza del controllo da parte degli adulti.
Il gioco vero è quello che si gioca in strada, in cortile, o in un giardino.
Vi sono giochi, nella cultura popolare, che hanno accompagnato l’infanzia dei nostri nonni, genitori e perché no, di noi stessi. Giochi come “Campana” o “4 cantoni”, cosiddetti giochi tradizionali, hanno rappresentato gli abituali passatempi nei cortili, nelle piazze o nelle strade non ancora invase dalle automobili. Tornare a giocare in strada, nei cortili, nelle piazze sarebbe come ritrovare quel filo invisibile che lega i bambini d’oggi con i propri antenati, e sarebbe il giusto modo per riscoprire, recuperare e valorizzare le tradizioni.
Chi, come me, ha avuto la fortuna di poter giocare in un cortile, ricorda, con nostalgica felicità, i pomeriggi passati a giocare a “Rubabandiera”, a “Campana”, a “Palla prigioniera” o a saltare con la “Corda”.
Giochi che oggi rischiano concretamente l’estinzione proprio come alcune razze protette, per scomparsa del loro habitat naturale, sarebbe bello poterli proteggere.
Un gioco tradizionale può morire se nessuno lo gioca, perché forse ha esaurito la sua forza ludica, oppure, peggio ancora, può non nascere perché già ammazzato dall’urbanistica e dalle automobili che scippano i campi da gioco, i marciapiedi, i selciati e le piazzette.
Questi giochi sono estremamente creativi e favoriscono lo sviluppo psico-fisico armonico e globale, sviluppano la competizione, anche se, il bambino, interiormente, sente che il motivo fondamentale del gioco è il gioco stesso e non il risultato finale.

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